San Siro 07/11/1979

San Siro Sette Novembre Millenovecentosettantanove

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Rientrava a capo chino, a piedi, con un timore giustificato. Solo, a quattordici anni, in una Milano buia e silenziosa ed in un orario a lui proibitivo.

Come lo stadio di San Siro potesse disperdere settantamila persone in poche centinaia di metri restò sempre un’incognita. Capitava così, di schianto, appena svoltando in qualche via secondaria. Carlo lo scopriva in quella circostanza. Per lui era la prima volta. Era stata una giornata intensa, di ansie, entusiasmo, aspettative. E di imperdonabili bugie. Gli eventi di quel giorno continuavano a riproporsi senza sosta nella sua mente. In un turbinio di sensazioni. Quasi in modo ingestibile. Quando apri la porta di casa tutti dormivano. Si fece strada nel buio. Spogliatosi si infilò nel letto. Era arrivato a casa, rasserenandosi del fatto che nessuno aveva scoperto il raggiro. Ma ora veniva il resto, ed in quella condizione di eccitazione non ancora smaltita mista a frustrazione, non avrebbe più preso sonno…

Quella proposta lo aveva pervaso di inquietudine fin dal mattino. Carlo era un ragazzino semplice. Coltivava i sogni della sua generazione e parlava poco. Non marinava la scuola ed era sempre puntuale. Educato e composto non manifestava slanci o passioni smodate. Ma nella sua apparente mediocrità andava fiero del fatto di non mentire mai. Il suo modus vivendi sembrava il prodotto migliore che potesse scaturire da quella famiglia: semplice, modesta, morigerata. Dove sembrava che la sincerità si ergesse come unico baluardo del proprio stesso equilibrio. Fattore sufficiente per capire i risvolti del suo momentaneo imbarazzo: rientrare a casa raccontando una verità farcita di tutti i dettagli con il rischio di ottenere un divieto? Oppure edulcorarne la forma omettendo alcune parti per sfruttare appieno l’opportunità? Marco gli aveva proposto la “tresca” a scuola, durante l’intervallo.

Era in possesso di un biglietto per il settore dei distinti per una partita di calcio che si sarebbe svolta quella stessa sera. Per quell’incontro Carlo avrebbe venduto l’anima al diavolo. Come resistere alla tentazione? Marco non era un “Lucignolo”. In famiglia godeva solo di maggiori libertà. Tra i due c’era molta complicità, in classe e sul campo da gioco. Militavano insieme nell’Herodia Half,  Carlo sulla sinistra e Marco al centro. Condividevano la passione del calcio e pur essendo di fede diversa, lo facevano rispettandone vicendevolmente i colori.

Il piano prevedeva una colossale menzogna secondo la quale i due sarebbero andati a San Siro sotto l’egida e la guida del papà di Marco. Peccato che ad accompagnarli non ci sarebbe stato nessun papà. Sarebbero andati soli. Un salto nel buio insomma, che avrebbe previsto per Carlo una recita impeccabile al cospetto di sua madre.  L’inter per lui valeva anche questo. L’inter valeva un sacrificio. Con la stessa valenza che può avere una bugia detta per seguire una passione. Papà lo aveva portato a vederla un paio di volte la domenica, ma tenendolo sempre stretto al suo fianco. A trattenerlo era sempre stata una sana diffidenza della folla e di quegli effetti che a volte è in grado di scatenare. Come tutti i suoi coetanei, Carlo sognava di calcare quel campo.

Nelle notti di coppa spesso rimirava il riverbero che lo stadio rimandava nella sua stanza. L’effetto nutriva il sogno, il sogno nutriva i desideri e le radiocronache ascoltate guardando il nulla dalla finestra facevano il resto. Di quelle notti però non ne aveva mai apprezzato a piene mani la magia. Il colore delle casacche illuminato dai riflettori, il fascino del brulichio del pubblico che si muoveva nelle zone d’ombra, la foschia che d’inverno rotola sotto le luci artificiali. Era uscito di casa con un tascapane a tracolla. Mamma gli aveva preparato i panini, per lui ed il suo amico. Il resto fu un’avventura.

Si trovarono al cancello, speranzosi di poter cambiare quel titolo di ingresso con due di minor valore all’anello superiore. Approcciandoli uno ad uno però, avevano ricevuto solamente dei rifiuti, rinnovando la speranza al varco d’ingresso successivo e facendosi largo tra una folla che diventava man mano sempre più numerosa, eccitata e pressante. Tra tutta quella gente era palese come fosse evidente la loro vulnerabilità. Tuttavia, e forse proprio per questo motivo, trovarono una maschera compiacente che, senza sottolineare il gesto, strappò loro il biglietto e con una mano li fece sfilare sotto il braccio, raccomandandosi di accedere dalla rampa superiore. Una corsa spasmodica cadenzava i loro passi mentre gli altoparlanti scandivano già l’elenco delle formazioni. “ ….. Beccalossi, Altobelli, Muraro …”.Imboccarono il varco di ingresso alle gradinate senza poter scegliere un punto di osservazione preferenziale. Era la curva. Un impianto stracolmo faceva vibrare impercettibilmente il cemento sotto i piedi.

Trovarono gli unici spiragli che a quel punto erano rimasti liberi e si sistemarono lì, contro una transenna. Marco seduto sotto il ferro che fungeva da ringhiera, Carlo dietro di lui, sul solo arto destro, perché il ginocchio opposto collimava stretto stretto con la spalla del suo amico. La cornice restituiva con coerenza tutto ciò che Carlo aveva immaginato di vedere. La circostanza di poter assistere ad uno storico passaggio di turno era favorevole. A San Siro si disputava quella sera l’incontro di ritorno dei Sedicesimi di finale di coppa U.E.F.A. In Germania, il risultato di 1-1 poneva seriamente le solide basi di un successo. Inter e Borussia Moenchengladbach facevano il loro ingresso in campo. Coriandoli e nastri di carta ruzzolavano dagli spalti imbiancando il terreno sotto porta. Il contrasto delle maglie sul manto erboso premetteva una di quelle notti delle quali aveva sentito parlare solo attraverso le parole di papà.

Pur a quella distanza si percepiva la possente fisicità degli avversari: alti e slanciati. Capelli biondi e carnagioni chiare li facevano apparire come cavalieri teutonici. Una certa possenza veniva amplificata da quel completo bianco che indossavano. Di contro, le casacche scure della squadra di casa, ridimensionavano la statura dei propri giocatori che a confronto sembravano furetti. Ma come tali, più sguscianti nell’atto di insinuarsi tra le loro maglie. L’incontro cominciò e fu palese da subito constatare il confronto e la differenza delle due scuole in campo. Due scuole che negli ultimi anni davano ragione ai tedeschi anche solo banalmente per i risultati che riuscivano a conseguire. Per finalizzare le azioni, gli italiani cercavano sempre la costruzione del gioco e le discese sulle fasce. I tedeschi, a volte grotteschi nelle loro corse claudicanti, finalizzavano spesso con tiri da lontano, o con rocamboleschi batti e ribatti in area. Tuttavia portando a casa il risultato.

Carlo era un puntino colorato in mezzo a settantamila puntini come lui. Aveva preso forma in mezzo a quel pubblico che ormai ondeggiava all’unisono tanto era compresso in se stesso. Ma tutto questo restituiva la sensazione di sentirsi protetto, ovattato, quasi in un bozzolo, in un sol corpo. Partecipava, senza freni e inibizioni. E sperava. In un’istante la svolta. La palla si insaccò e non vide quasi più nulla tanto fu lo sbracciare scomposto di chi lo circondava. L’urlo salì al cielo. La tribuna vibrò. La sua preoccupazione andò a Marco, seduto sotto di sé. Facendogli da scudo si guardarono e compiacendosi risero entrambi. San Siro rivelò l’urlo della notte alle sue orecchie e ne alimentò l’attesa. Sospinti da un vociare incessante ed incalzante, l’incontro riprese. E fu così per un quarto d’ora. Poi tutto si spense in un istante altrettanto veloce. Un tiro scomposto da trenta metri, di rimessa, di sorpresa e non cercato, si infilò vigliaccamente nell’angolo della porta e rimettendo tutti al proprio posto.

Consumammo quei panini all’intervallo con l’indifferenza di chi ha qualcosa di più importante da dire e da pensare. Volgendo la mente alla situazione che a quel punto era di perfetta parità. Favoriti ancora da un tempo da giocare e con un equilibrio che sembrava propendere più alla squadra di casa per volume di occasioni e per la determinazione messa in campo. Non fu così. Il secondo tempo scivolò senza picchi di sorta alcuno verso quell’”imbuto” a cui Carlo non aveva mai assistito: i tempi supplementari. Si aggiunse così a quella sera qualcosa di imprevisto e che avrebbe dilatato ulteriormente il suo rientro.

Combattuto e tormentato dal senso di colpa di una verità non detta, Carlo rivolse l’attenzione al campo, con la consapevolezza di colui decide autonomamente di viverla fino in fondo con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate. Il fascino dei supplementari restituiva tutto l’appeal delle notti di coppa: l’equilibrio della sfida, la sorpresa insperata dell’ultimo minuto, il fascino di una vittoria sudata. Bastarono pochi minuti per cancellare dalla sua mente ogni dubbio. Quando la palla si insaccò per la seconda volta con uno spettacolare colpo di testa in tuffo, Carlo diede forma concreta al sogno.

Gli spalti sussultarono come mai aveva visto. In mezzo a sconosciuti fraternizzava con spettatori che non aveva mai conosciuto, privo di ogni inibizione. Un entusiasmo fuori controllo mise tutto in secondo piano. Unico rammarico, era solo quello che se fosse successo solo tre, quattro minuti prima, tutto sarebbe già finito. Ora, sarebbe bastato buon senso tattico e calma per uscirne vincitori. 

Carlo non lo sapeva, ma i dieci minuti che seguirono furono i più felici che visse nelle vesti di tifoso. Trepidò, scandì il nome della sua squadra ad alta voce, si unì ai cori di chi viveva con lui quegli istanti. Dieci minuti. Solo quelli, perché poi, da una caotica mischia in area, un tiro sorprese la difesa, e si infilò nella rete a dispetto di tutto quello che era stato il doppio confronto. Quel gol colpì il morale, della squadra e della gente, che ne percepì smaccatamente il senso. L’ultimo quarto d’ora fu un arrembaggio, disordinato e poco convinto. E non servì. Anzi, fu solo il preludio che fornì alla squadra tedesca lo sfregio del terzo gol.

Ottenuto attraverso un generoso rigore, ma che a quel punto non avrebbe fatto più la differenza. Uscirono tutti a testa bassa compresi Carlo e Marco che sul piazzale antistante si divisero. Carlo aveva trattenuto le lacrime fino a quel momento. Si volevano bene ma Carlo non si sarebbe concesso di farsi vedere in lacrime da un milanista, seppur amico.

Abbattuto, e con il pensiero di ricevere una romanzina al suo rientro, camminava a passo svelto tra le vie. Attinse al tascapane quell’ultimo panino, consolandosi del fatto che mamma glielo aveva candidamente preparato. Lo morse e vi sentì insieme il gusto salato delle sue lacrime.

Carlo si rigirava nel letto esausto ma vigile. In quelle lacrime non c’era solo la delusione, ma l’impossibilità di raccontare che cosa per lui era stata quella notte. Nella sua ingenuità era convinto che se Muraro fosse stato al fianco di Altobelli fino alla fine, non sarebbe finita così. Pianse lacrime sincere, chiedendosi quando sarebbe venuto il giorno nel quale anche lui avrebbe potuto veder sollevare una coppa al cielo, finchè il sonno non prese il sopravvento.

Fu una sconfitta. Ma una sconfitta bellissima. Forse più bella di tante vittorie. Carlo non lo sapeva ancora ma le coppe alzate al cielo riuscì a vederle in seguito. E più d’una. Tuttavia non provò mai più il trasporto di quegli istanti. Oggi racconta sempre di quella notte e del fatto che, ancora oggi, rimane ancora la più bella partita della sua vita. Ma senza riuscire razionalmente a capacitarsene.

 

A papà: al quale non feci in tempo a raccontagli quella marachella.

A Carletto Muraro: che in una notte, per 90 minuti mi fece sognare il trionfo. E gliela confidai.


Carlo CUT Cazzaniga è un artista milanese che esprime con il legno e la pittura la sua visione del mondo. Figlio di una Milano genuina e pura come il suo sguardo, nelle sue tavole c’è l’ironia di un artigiano che vuole sfidare l’arte e sa plasmarla alle forme della fantasia.

Sito Web: www.cutcarlocazzaniga.net

Facebook: The CUT is on the wall

MOSTRE

03/2019       “CUT a Saint Marcel”  Salle Alfred Jarreau  (Saint-Marcel   Saône et Loire)
12/2018       Collettiva Pittori Bagutta (Milano)
10/2018       “Italian Sound” Palazzo delle Stelline (Milano)
09/2018       “Piopp – Sicle”  Gelato Museum Carpigiani (Anzola dell’Emilia – BO)
06/2018       Collettiva I monaci sotto le stelle (Brescia)
05/2018       Offside Film Festival Fabbrica del Vapore (Milano)
05/2018       Man’s World Fabbrica Orobia (Milano)
04/2018       Collettiva  Galleria Stefano Simmi (Roma)
03/2018       “Punti di vista”  Balsamico Bonini (Modena)
01/2018       Collettiva Pittori Bagutta (Milano)
10/2017       “Vedute di taglio” Centro Culturale “P. Occhetta” (Romentino – NO)
10/2017       “Overtime Festival” Galleria Antichi Forni (Macerata)
09/2017       “Abrazo Futbolero” Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata (Grugliasco – TO)
07/2017       “CUT a Ripa Teatina” XIII°Premio Rocky Marciano (Ripa Teatina – CH)
05/2017       “Il minuto di silenzio” Fondazione Museo del Calcio (Coverciano – FI)
04/2017       “Famous Glasses” DIECIDECIMI – Fuorisalone (Milano)
04/2017       “Abrazo Futbolero” Fashion Foodballer (Firenze)

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